“Il libro di Giona”, il film di Zlatolin Donchev in anteprima al Festival dei Popoli

Martedì 17 novembre, alle ore 15:00, nell’ambito del Festival dei Popoli, su MyMovies.it, ci sarà la proiezione online in anteprima mondiale de “Il libro di Giona“, il primo film di Zlatolin Donchev. Save the date!

Sinossi. In una piccola automobile colma di oggetti, Massimiliano è immerso nella lettura di un libro. Lì dentro mangia, dorme e sogna. Costellazioni di fotografie, scattate da lui con un vecchio telefonino, intrecciano la sua vita quotidiana con quella interiore. Massimiliano vive per strada, nel ventre della sua macchina, ma vorrà uscirne quando un’eredità inaspettata gli permetterebbe di voltare pagina?

Qui trovate il link al film sulla pagina del Festival dei popoli: https://www.festivaldeipopoli.org/il-libro-di-giona/

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Le contro-mappe dei migranti (di Sandro Mezzadra)

In un comunicato stampa dell’11 ottobre (Six Years Alarm Phone. The Struggle at Sea Continues), Alarm Phone – la hotline interamente gestita da volontari e attivisti che riceve chiamate di emergenza da parte di profughi e rifugiati in difficoltà nel Mediterraneo – si domanda retoricamente: “che cosa sarebbe oggi il mare senza Alarm Phone, che è diventato parte della ferrovia sotterranea?” Il riferimento alla rete di assistenza alla fuga degli schiavi negli Stati Uniti prima della guerra civile (recentemente al centro di un bel romanzo di Colson Whitehead, appunto intitolato La ferrovia sotterranea) è in realtà diffuso da ormai diversi anni all’interno dei movimenti che si battono a fianco dei migranti e contro i confini esterni e interni europei.

Non sfuggono a nessuno le differenze tra la condizione degli schiavi nel Sud degli Stati Uniti e quelle dei migranti (differenze spesso cancellate nelle retoriche sulla “tratta” e sulle “nuove schiavitù”). Come ha scritto recentemente Maurice Stierl, uno dei fondatori di Alarm Phone, si tratta piuttosto di valorizzare il momento della rivolta che ha accompagnato l’intera storia della schiavitù atlantica e di prendere le mosse dai momenti in cui schiavi e migranti “hanno messo in atto percorsi di fuga verso un luogo percepito come uno spazio di libertà”. Lungo questi percorsi schiavi e migranti si sono imbattuti in una molteplicità di confini e limiti, ma hanno anche incontrato solidarietà e aiuto al passaggio.

Il libro di Luca Queirolo Palmas e Federico Rahola, Underground Europe. Lungo le rotte migranti (Meltemi, pp. 479, 25 euro), si propone per la prima volta di sistematizzare il parallelo tra le esperienze abolizioniste negli Stati Uniti di metà Ottocento e l’insieme delle pratiche di solidarietà che disseminano le “rotte migranti” in direzione e all’interno dell’Europa di “stazioni” di quella che può essere considerata una nuova ferrovia sotterranea. È un libro per molti versi straordinario, capace di combinare storiografia ed etnografia con l’impegno militante e destinato a diventare un classico negli studi sulle migrazioni e sui confini.

L’obiettivo di Queirolo Palmas e Rahola non è quello di proporre “una vera e propria comparazione”, ma piuttosto quello di evocare – nella prima parte – i tratti fondamentali di un’esperienza storica di lotta abolizionista per farli risuonare – nella seconda parte – in un tentativo di censire “le istanze di libertà che percorrono oggi il vecchio continente”, materialmente incarnate nei movimenti di profughi e migranti. Gli abolizionisti sottolineavano, per citare un libro del 1856 di Benjamin Drew (The Refugee)su cui gli autori si soffermano a lungo, il “naturale desiderio di libertà” degli schiavi, che “la paura e la forza” si rivelano inadeguate a contenere. Ne risultava una politicizzazione della fuga che gli autori proiettano sulle migrazioni contemporanee.

La storia della ferrovia sotterranea è del resto una storia contesa. La sua indubbia realtà si intreccia con l’immaginazione, che ne ha fatto prima di tutto nelle piantagioni un mito nutrito dal desiderio di liberazione degli schiavi. La sua estensione geografica e la distribuzione delle sue “stazioni” restano elusive – tanto che disegnarne una mappa risulta un esercizio impossibile, esattamente come è impossibile segnare sulla carta geografica dell’Europa le rotte della migrazione e della solidarietà. Al più si può pensare a una serie di “retro-azioni” e “contro-mappe”.

Una cosa tuttavia è certa per quel che riguarda la ferrovia sotterranea storica: come ha ormai dimostrato la storiografia radicale nera, la rete di solidarietà degli abolizionisti era saldamente impiantata nel protagonismo nero, tanto in quello degli schiavi in fuga quanto in quello delle comunità nere del nord. È un punto fondamentale, che Queirolo Palmas e Rahola proiettano nel presente liquidando ogni immagine – ingenuamente “umanitaria” – del migrante come pura vittima. In ogni stazione del viaggio che siamo invitati a percorrere nella seconda parte del libro (a Calais come a Ventimiglia, a Ceuta e Melilla come a Parigi, ad Atene come a Pozzallo) incontriamo straordinarie figure di migranti capaci di costruire un tessuto materiale di resistenza che costituisce il riferimento fondamentale per pratiche di resistenza che coinvolgono attivisti ma anche persone comuni.

Underground Europe non si occupa specificamente dell’attraversamento del confine marittimo nel Mediterraneo. Segue profughi e migranti nei loro spostamenti dopo il momento dello sbarco (che viene raccontato con grande efficacia nel capitolo su Pozzallo). In questione in questo libro sono dunque i confini interni di un’Europa che, riprendendo un’indicazione di Étienne Balibar, si presenta qui come borderland, “terra di confine”. Queirolo Palmas e Rahola si concentrano su una formula centrale nella governance europea delle migrazioni, ovvero “mobilità secondaria”, gli spostamenti non autorizzati dei migranti e dei profughi dal primo Paese di arrivo. E propongono due concetti – messi a fuoco nell’analisi della ferrovia sotterranea negli Stati Uniti dell’Ottocento – per analizzare e comprendere il funzionamento della governance delle migrazioni: “guinzaglio” e “strappi”. La pretesa di indirizzare e contenere la mobilità appare in questa prospettiva sempre come una reazione alla materialità e alla possibilità di uno “strappo” – a una pratica di libertà.

Di questi concetti gli autori danno molte esemplificazioni nella seconda parte del libro, ad esempio a proposito di Ceuta e Melilla, dove varcare le prime mura “significa farsi agganciare da un guinzaglio istituzionale” che punta a trattenere il migrante all’interno dell’exclave, mentre strappare il guinzaglio consiste nel trovare il modo più rapido per raggiungere la Spagna e continuare il viaggio. Il rapporto tra guinzaglio e strappo si dispiega del resto in tutti i luoghi analizzati in Underground Europe, che sono anche siti centrali nella geografia del controllo delle migrazioni (fatta di “isole confino” e “città ostili”).

Si diceva dell’impegno militante che sostiene il lavoro di Queirolo Palmas e Rahola, evidente nella complicità che rivendicano con profughi e migranti e con le reti di solidarietà che li sostengono. Troviamo del resto nel libro anche un insieme di riflessioni di carattere teorico-politico, decisamente preziose per un ripensamento della solidarietà e dell’attivismo attorno a migrazioni e confini. Il termine che ricorre insistentemente per definire le alleanze e convergenze che lasciano intravedere una ferrovia sotterranea in Europa è “coalizione”: parrocchiani e fedeli delle moschee, studenti erasmus e scout, collettivi noborder e centri sociali, volontari delle ONG, medici, infermieri sono tra i soggetti che si impegnano per garantire il passaggio (con una “egemonica presenza femminile”, come viene opportunamente ricordato).

Piace pensare che si possa qui vedere un altro parallelo con la storia dei neri negli Stati Uniti, che cioè questa coalizione prefiguri qualcosa di simile a quella che W.E.B. Du Bois (in un libro del 1935 dedicato alla “ricostruzione” negli Stati del Sud dopo la guerra civile) chiamava “democrazia abolizionista”, ovvero un nuovo spazio politico aperto dall’insorgenza (dallo “sciopero generale”) degli schiavi. Muovere in questa direzione significa dare una risposta alla domanda “sul possibile significato, oggi, dell’abolizionismo” formulata all’inizio del libro – una risposta, vale la pena di notare, che sono in molti a cercare di articolare negli Stati Uniti di oggi, dove sotto l’impulso originario di Angela Davis l’abolizionismo e la democrazia abolizionista sono oggi strumenti teorici e politici impiegati in riferimento a una molteplicità di temi, dal carcere al muro di confine con il Messico. Altre risonanze, con cui dialoga il libro di Queirolo Palmas e Rahola.

Pubblicato su “il manifesto”, il 28 ottobre 2020

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Il caso Butturini: un libro da bruciare? Il 30 Ottobre 2020, ore 21 (Zoom conference)

Qualche anno fa Martin Parr, si imbatte nel libro “London” del fotografo Gian Butturini (edito nel 1969), da lui definito un “gioiello abbandonato”, per come è riuscito a rappresentare i cambiamenti della scena sociale e giovanile e la cultura beat degli anni ’60.Rintracciati gli eredi dell’autore (scomparso nel 2006) ne promuove e ne cura la riedizione integrale, una mostra al Barbican Centre, un talk a London Photo Festival.

A pubblicazione avvenuta, una studentessa britannica scatena una poderosa campagna di protesta contro il libro e il suo curatore, giudicando manifestamente razzista l’accostamento di due immagini, chiedendone il ritiro dal mercato. L’impatto della campagna è devastante: Martin Parr si dimette dalla Direzione del Festival di fotografia di Bristol; si scusa per non essersi accorto dell’accostamento razzista tra le due immagini chiedendo all’editore, non solo il ritiro del libro, ma addirittura di mandarlo al macero!

Oggi si è attivata una campagna “Save the Book”, sostenuta ed appoggiata da alcune tra le più importanti figure della fotografia in Italia, quali Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin, Francesco Cito (vedasi www.gianbutturini.com).
La vicenda pone importanti questioni, sotto differenti profili: fotografici, politico-culturali, sociologici, giuridici.

Di questo parleranno: Leonello Bertolucci (fotografo, photoeditor, docente di fotografia), Tiziano Butturini (associazione Gian Butturini), Luca Guzzetti (sociologo della comunicazione, Università di Genova), Michele Smargiassi (giornalista de La Repubblica, critico, saggista). Moderatore: Federico Montaldo (36° Fotogramma).

Incontro aperto e libero. Ingresso dalle ore 20,45 sulla piattaforma Zoom al link sotto riportato o tramite codice QR. https://us02web.zoom.us/j/2235811233?pwd=ZU1Bc1RBc0tUTG1zQ0FhaXczWFdzQT09

ID riunione: 223 581 1233 | Passcode: 2DgEdG

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New international exchange agreements for the Visual Sociology Research Group / Nuovi accordi di scambio internazionale per il Laboratorio di Sociologia Visuale

(EN) The Visual Sociology Research Group and University of Genoa has formalised an Erasmus+ agreement with the Galatasaray University (Turkey), the Université de Liège (Belgium), the Université de la Reunion – Centre Universitaire de Mayotte (France), and the Université de Guyane (France), in order to foster international exchanges and mobility of Ph.D students as well as of researchers in the field of migration studies.

(ITA) Il Laboratorio di Sociologia Visuale e l’Università degli Studi di Genova hanno formalizzato un accordo Erasmus+ con l’Università di Galatasaray (Turchia), l’Università di Liegi (Belgio), l’Università de La Reunion – Centro Universitario di Mayotte (Francia) e l’Università della Guyana (Francia), al fine di rinforzare gli scambi internazionali e la mobilità dei dottorandi nel campo dei processi migratori.

Corso Andrea Podestà, 2 - 16121 Genova (GE)

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