Intervista a Hille Koskela a proposito del sistema di video-sorveglianza partecipata messo in pratica lungo il confine tra Messico e Texas.
Intervista realizzata a Marrakech da Luca Queirolo Palmas e Cristina Oddone
Fotografia: Cristina Oddone
Montaggio e sottotitoli: Lorenzo Navone
2013, Laboratorio di Sociologia Visuale – UniGe
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Hille Koskela è una geografa urbana finlandese i cui interessi di ricerca ruotano principalmente intorno alla sorveglianza, alla video-sorveglianza, alla sicurezza urbana, ai confini, alle sottoculture urbane e agli spazi emozionali.
È autrice di numerosi contributi intorno a questi temi.
18 gennaio 2013 | h. 14.30-19.30
Dipartimento di Scienze della Formazione Corso Podestà 2 | Aula 3 | Genova
Prima parte della giornata: ore 14.30-17.00
presentazione della rivista lo Squaderno n. 26 | Spazio – Tempo – Velocità interverranno Lorenzo Navone, Mariasole Ariot, Andrea Mubi Brighenti | curatori del numero Anna Daneri | curatrice e critica d’arte, introdurrà il lavoro dell’artista Christian Rainer Federico Rahola | sociologo e critico della cultura, presenta il suo intervento su Rio de Janeiro e le politiche della verticalità Suite-case | collettivo artistico, guest artist di lo Squaderno n. 20, presenta il progetto “Gardening”
Seconda parte della giornata: ore 17.00-19.30
Prima proiezione del documentario “dramma, scempio e fama” (56 min.)
Dalle ore 20.00 proiezioni nella Piazza Princesa del Ghetto – organizzato dalla Casa di Quartiere Ghett Up.
Tra i film in programma sarà proiettato anche “Pane miele sartoria” di Maddalena Bartolini e Alessandro Diaco, prodotto dal laboratorio di sociologia visuale, grazie al contributo del Centro Studi Medì.
(Documentario di 56 min.)
Regia di Alessandro Diaco.
Soggetto di Maddalena Bartolini, Sebastiano Benasso, Alessandro Diaco e Luisa Stagi.
Prodotto da Maddalena Bartolini e Sebastiano Benasso
Sinossi:
Le province dell’impero. Sottocultura urbana globalizzata. Piccola borghesia al confino.
Adolescenti di periferia. Effetti collaterali da musica hip-hop. L’antropologo Marc Augé, i sociologi David Brotherton e Agostino Petrillo, la psicologa Marie-Agnès Beau. Le TAG del writer Blef. Il desiderio di morire con la pelle nera, crivellato di colpi d’arma da fuoco sulle strade del Bronx. Canzoni sul dramma, lo scempio e la fama. La notte. Un lembo di Genova…
Un osservatore invisibile registra frammenti biografici di alcuni adolescenti che dal quartiere arrivano al passaggio televisivo attraverso la musica.
La messa in scena si svolge prevalentemente nella Genova-Cornigliano sommersa dei Santa Alleanza, una crew di periferia.
Dal territorio echi di un passato rosso e proletario che restano sullo sfondo della quotidianità della “Cumpa a meraviglia”.
L’hip-hop è un laboratorio dell’immaginario, un luogo dove miscelare aspirazioni e ispirazioni, dominio territoriale e ricerca di un’identità, ma anche insicurezze e percezioni acute, visionarie, ingenue, collettive, solitarie, potenziali. Questo è il tempo del bozzolo che diventerà farfalla, ed è pure il tempo della bellezza dell’asino. Navigando su una zattera di descrizioni e ricordi, frammenti emotivi e leggende urbane, entriamo nella deriva dei Santa Alleanza e tratteggiamo una mappa a inchiostro simpatico, qualcosa sparirà, qualcos’altro no. La spavalda e incerta naturalezza del loro stare davanti alla camera ci suggerisce che molto presto le cose cambieranno nelle loro esistenze.
La più lunga estate della mia vita sta finendo, cosa diventerò?
Per questi pronipoti dei ragazzi di borgata, il tempo occidentale ha solo cambiato il nome della classe sociale, non le condizioni. Non più sottoproletariato, ma piccola borghesia.
“… quella gente non creava più il proprio modello umano, quella gente non opponeva più la sua cultura a quella dei padroni, quella gente non conosceva più la santità della rassegnazione, quella gente non conosceva più la silenziosa volontà della rivoluzione.”
Tratto dal capitolo “La nuova periferia (III)”, del libro non finito di P.P. Pasolini “Petrolio”, 1975.
L’osservatore invisibile contatta e incontra intellettuali, amici fantasma, genitori. Attraverso la rete scrive a diverse crew in Tunisia, Canada, Ungheria, Kazakhstan, Sud Africa. Qualcuno risponde dando informazioni e videoclip divertenti e ironici… gli Inuit cantano “don’t call me eskimo”… altri più seriosi e malinconici restano irreperibili.
Sulla ribalta si accendono le luci di suburbie semi sepolte in alcune regioni dell’Impero (il sistema di mercato capitalistico che riassorbe le produzioni periferiche, ci dice Augé).
L’osservatore invisibile nota segni comuni e differenze, ma alla catalogazione preferisce la costruzione lirica… appunti sparsi di un’etnografia depensata, per dirla Bene.
Sfiorando l’illusione di oltrepassare le barriere al desiderio di comunicazione dei ragazzi selvatici di questa epoca, ascoltiamo le loro formule di reazione, e allo stesso tempo scorgiamo in loro i sintomi di tormenti sottopelle.
La più lunga estate della nostra vita sta finendo, cosa diventeremo?